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IL METODO WARD PER L’EDUCAZIONE MUSICALE

Genesi, lineamenti ed esperienze

Recensione di Alessandra Seggi

31 Gennaio 2018

Leggere e conoscere gli scritti dei diversi autori che hanno sviluppato metodologie pedagogiche musicali è stato ed è un mio interesse personale e professionale ma mentre per le figure classiche, mi riferisco a E.J. Dalcroze, E. Willems, Z. Kodaly, C. Orff, solo per citare i nomi più conosciuti, è facile reperire scritti originali così non è per quanto riguarda il Metodo Ward.

Ho avuto però la fortuna di avere, quasi senza sapere come, il libro “Musica per le scuole elementari, Libro di primo anno ad uso degli insegnanti” di Justine Ward pubblicato a Roma nel 1937. La lettura di questo prezioso libricino, dalle pagine ingiallite dal tempo, mi ha permesso di conoscere il pensiero della Ward e rileggendolo, anche per ragioni professionali, ha continuato a sorprendermi sia per la cura estremamente dettagliata degli argomenti trattati sia per la modernità del pensiero pedagogico musicale presentato.

Ecco perché mi ha particolarmente incuriosito leggere il libro di cui qui tratterò scritto nel 2016 da Dario De Cicco dal titolo: “IL metodo Ward per l’educazione musicale, genesi, lineamenti ed esperienze”.

Un testo così mancava nel panorama editoriale italiano, uno scritto che mettesse in luce l’opera metodologica musicale ancora poco conosciuta che questa straordinaria donna ha lasciato nei suoi scritti.

Inoltre mi è molto gradito parlare qui di una metodologia elaborata da una donna studiosa, ricercatrice e“particolarmente versata sull’ascolto dell’altro”, peculiarità e aspetti molto risonanti nel nostro team tutto femminile di Musicastudio.

In questa recensione le citazioni oscilleranno fra parti di testi ripresi dal libricino della Ward del 1937 e parti del testo di Dario De Cicco del 2016: ho deciso di non segnalare le distinzioni in quanto l’intreccio che si crea fra i due autori è così integrato l’uno nell’altro da consentirmi questa atipica libertà.

Entriamo nel vivo: chi era Justine Bayard Cutting Ward?

Nel volume, Dario De Cicco, ci presenta dettagliatamente la biografia della Ward ( Morristown _ New Jersey 1879 / Washington 1975) evidenziando il suo percorso formativo e tutti contatti che ella ha avuto con la realtà religiosa americana, unitamente a quelli con i maestri della scuola di canto gregoriano di Solesmes.

Il lavoro di ricerca e di documentazione che l’autore presenta è minuzioso e arricchito da numerosi allegati che testimoniano “gli aspetti caratterizzanti la modellizzazione didattica wardiana contestualizzandoli all’interno del divenire delle realtà ecclesiali, sociali e musicali statunitensi ed europee”. Inoltre l’autore compie un’indagine arricchendo il testo con interviste sui contesti applicativi italiani della metodologia e con una parte dedicata alla produzione editoriale indicante gli autori e i rispettivi titoli dei brani musicali contenuti nei diversi libri tradotti del metodo pubblicati in Italia nel corso degli anni. In particolare “dettagliatissime sono le indicazioni metodologiche presenti nei libri rivolti agli insegnanti che specificano e organizzano ogni elemento contenutistico, collocandolo all’interno di sequenze di apprendimento significative”.

Sicuramente questi aspetti sono quelli che hanno maggiormente attirato la mia attenzione e già a partire dall’introduzione della Ward al suo libro sopra citato si legge:” lo scopo che si propone la pubblicazione di questa serie di libri…è quello di far si che la possibilità di cantare e di esprimersi in musica non sia limitata ad esseri di talento, ma diventi patrimonio comune…non è una teoria che vogliamo diffondere, bensì un’esperienza.”

Queste affermazioni sono di grande modernità in particolare nel considerare l’esperienza pratica come prima fase del processo di apprendimento dalla quale deriverà poi la teoria. Un’affermazione che può sembrare ovvia ma che sul versante didattico musicale ancora oggi stenta a decollare: troppe volte si inizia lo studio della musica impostando la teoria posponendo l’ordine più naturale del far vivere l’esperienza dalla quale derivare la teoria. Continuo con alcune citazioni tratte dallo stesso libro.

“Se il ritmo è essenzialmente movimento, è chiaro che non se ne può far conoscere il senso che mediante il movimento. Noi vogliamo movimenti a cui partecipi tutto il corpo, movimenti che facciano sentire il ritmo nei muscoli delle braccia e delle gambe: prima la percezione fisica del ritmo, poi, e per mezzo di essa, la percezione intellettiva”.

Qui si evidenzia l’influenza del pensiero di E.J.Dalcroze , J.Dewey , M.Montessori, tutti sostenitori di una formazione centrata sul fare e sullo studente: “il maestro deve in tutti i casi stimolare l’alunno ad usare le proprie forze, aiutandolo solo indirettamente”…”l’alunno imparerà a servirsi della sua capacità di pensare e a questa il maestro farà continuamente appello”.

Oggi si parlerebbe di attivare processi metacognitivi, di sviluppare la propria motivazione intrinseca e l’empowerment attraverso strategie per rendere lo studente competente e autoefficacie.

La Ward inoltre scrive: “Una classe annoiata, distratta e senza vita, generalmente prova che la lezione non è stata preparata bene” …” Quando scorgiamo nella scolaresca un senso di noia, dobbiamo cercare di dissiparlo subito, passando dalla concentrazione all’azione o introducendo qualcosa d’inaspettato. Non ci dobbiamo sentire menomamente soddisfatti di noi stessi, se non abbiamo creato, durante la lezione, un’atmosfera di contentezza. Questa è la prova più sicura di una buona lezione”.

Includere il piacere, la sorpresa, un clima sereno durante le lezioni non è forse un modo ancora oggi condivisibile di star bene a scuola?

Sempre nello stesso libro l’autrice indica vari schemi di lezione così come una serie di esercizi per stimolare un’alta concentrazione fino ad un relativo riposo corredando le indicazioni con suggerimenti operativi specifici utili sia per l’insegnante principiante che per quello esperto.

La Ward scrive “i requisiti di una buona lezione sono:

Brevità. Venti minuti in media sono sufficienti, se l’insegnante passa prontamente da un esercizio all’altro, senza perder tempo in vane spiegazioni e se la classe segue attenta e disciplinata. Completezza. In ogni lezione bisogna toccare tutti i possibili elementi: timbro, altezza, ritmo, notazione, ecc.

Progressività. Ogni lezione deve rappresentare un piccolo passo avanti.

Organicità. Ogni esercizio deve connettersi col precedente e preparare il successivo.

Varietà. Non bisogna seguire sempre lo stesso ordine di esercizi, ma variarlo tenendo soprattutto presente che gli esercizi che richiedono maggiore concentrazione mentale devono alternarsi con quelli che ne richiedono meno o possono considerarsi di relativo riposo.”

I requisiti sopracitati non hanno subito l’usura del tempo e sono a tutt’oggi condivisibili per realizzare una lezione efficacemente strutturata che soddisfi il docente quanto lo studente.

Nel volume di Dario De Cicco si analizzano le caratteristiche del metodo articolato in quattro livelli progressivi e rivolto ai bambini della scuola primaria con l’obiettivo di insegnare a cantare leggendo attingendo al repertorio gregoriano e a quello di natura popolare. I “periodi di apprendimento” indicati nel metodo della Ward sono:

Imitazione pura: intendendo la capacità di stimolare “condotte esplorative spontanee”.

Riflessione: intendendo la capacità di condurre il bambino “al possesso personale e all’uso indipendente e libero degli elementi musicali” “…gli alunni ci mostreranno le loro melodie, composte spontaneamente o dietro nostro invito. Nel correggerle noi dobbiamo mostrare il maggior rispetto possibile della personalità dei piccoli autori, limitando le correzioni allo stretto necessario e proponendo modifiche in forma di consigli che non umilino e non svalutino mai il lavoro del fanciullo, il quale, diversamente, non si sentirebbe incoraggiato a continuare”

Sviluppo-autonomia: “esprimendo consapevolmente ..le caratteristiche della propria identità musicale”;

Oggi si parlerebbe di sviluppo metacognitivo del bambino, d’indipendenza e di transfert di competenze per la soluzione di problemi.

Tutto molto attuale e ancora oggi condivisibile anche nell’attenzione e cura con cui la Ward chiede all’insegnante di considerare la personalità musicale degli studenti senza minarne il senso di autoefficacia.

Un’altra raccomandazione che la Ward espone per l’insegnante: “è importante ch’egli” (riferito allo studente) “non abbia mai la sensazione di trovarsi di fronte ad una difficoltà superiore alle sue forze: ciò lo scoraggerebbe e muterebbe in tormento la gioia dell’apprendere”.

Come non condividere tale premura? Ma quante volte non accade soprattutto nella pratica musicale? Quante volte il piacere, il ben-essere rimangono fuori dalle porte delle nostre aule?

Sembra strano che il piacere dell’imparare risulti ancora oggi un impedimento invece che un propulsore di energia positiva eppure molto spesso è proprio così che accade.

Nella strutturazione metodologica del percorso la Ward include la ricorsività tra i diversi stadi con l’obiettivo di attivare nel bambino “volontà, attenzione, riflessione” nutrendo quello che oggi s’intende per motivazione intrinseca data dai rinforzi positivi dell’insegnate verso lo studente.

Così scrive J. Ward: “I lavori degli alunni devono essere sempre pregiati e lodati, anche quando richiedono correzioni le quali non debbono mai offendere la personalità del fanciullo, né spengere la fiamma dell’entusiasmo.”

Un altro aspetto interessante è l’idea che l’esperienza musicale possa essere integrata con le altre discipline di studio dei bambini tanto che dalla “modellizzazione originaria della Ward erano esclusi i musicisti professionisti perché non ritenuti in possesso di “quelle indispensabili cognizioni di psicologia infantile che li trattenga dall’imporre senz’altro la loro dottrina caricando le piccole menti di un peso insopportabile ed inutile”.

Un’esigenza quella della preparazione psico-pedagogica dei musicisti tutt’oggi molto evidente nel nostro paese e presente a tutti i livelli di formazione: lo sappiamo bene noi che lavoriamo all’interno delle Scuole di Didattica della Musica nei Conservatori!

Alla luce di tutte queste considerazioni potremmo auspicare una nuova pubblicazione dei libri di Justine Ward così ricchi di suggerimenti per l’insegnante che desideri strutturare un percorso formativo musicale tenendo conto delle istanze dei propri studenti di indicazioni pratiche vocali, ritmiche e di formazione dell’orecchio che oltrepassano la datazione inserendosi serenamente a pieno titolo all’interno delle indicazioni pedagogiche contemporanee.

Ci sarebbero davvero moltissime considerazioni da fare sulle proposte nel metodo ma per non dilungarmi di più proverò a stringere sugli elementi musicali specifici che costituiscono i paradigmi di contenuto della metodica wardiana.

Il cuore del metodo, come già scritto, è l’esperienza corale in cui si alternano proposte individuali e collettive attraverso pratiche attive, ludiche centrate sul fare e non sulla teoria dove lo studente è protagonista, ha un ruolo attivo ed è incoraggiato a produrre le proprie idee musicali.

L’insegnamento del ritmo avviene attraverso esperienze di movimento corporeo nello spazio includendo l’ondeggiamento delle braccia e seguendo il fraseggio musicale analogamente a come J.E. Dalcroze propone nel suo metodo. Nei quattro anni previsti di studio la Ward propone la pratica del ritmo mensurato e del ritmo libero, come nel canto gregoriano, l’utilizzo del ritmogramma come introdotto dalla “ritmica integrale” di Laura Bassi, “la pronuncia di parole ritmiche associate al movimento”, esercizi di lettura di brevi disegni ritmici, dettato metrico, ecc.

Specifica indicazione è data dalla “Chironomia del movimento ritmico” un’espressione gestuale e grafica che aderisce perfettamente alle caratteristiche del repertorio gregoriano.

Il metodo tratta anche l’educazione vocale indicando strategie operative, vocalizzi e proposte suddivise per i diversi anni di corso dedicando un’attenzione distinta agli “stonati” proponendo una serie di esercizi da provare per recuperare gli studenti con difficoltà d’intonazione che, a parere della Ward sono riconducibili ad un’insufficiente educazione dell’orecchio.

Il problema della notazione musicale viene affrontato insieme ed in funzione all’esperienza pratica: prima il suono e poi il segno indicato con i numeri arabi. La scrittura sul pentagramma viene introdotta prima con un rigo per poi passare a due fino a cinque. Nel quarto anno viene insegnata la notazione di S.Gallo e quella Vaticana per leggere agilmente il repertorio gregoriano. La Ward utilizza il Do mobile per la lettura cantata e la chironomia indicante i gradi con il numero delle dita specificando tutta una serie di esercizi e attività progressive da proporre ai bambini per esercitarsi in tali pratiche.

Dario De Cicco nel suo volume analizza la realtà europea e italiana di fine ottocento e inizi novecento evidenziando le indicazioni legislative relative all’insegnamento della musica e l’influenza che le varie scuole di didattica musicale hanno avuto sulla formazione di quegli anni.

Inoltre l’autore presenta una larga documentazione di testimonianze, lettere e riproduzioni di foto d’epoca che permettono al lettore d’inquadrare chiaramente la situazione storica di quegli anni.

Nell’ultima parte del libro D. De Cicco indica la divulgazione e la pratica del metodo in Italia avvenuta fra la prima e la seconda guerra mondiale.

A questo punto riconosco un profumo di casa. Infatti il metodo Ward fu insegnato in Casentino dal 1923 in particolare a Serravalle di Bibbiena, poi anche Badia Prataglia nel 1929, entrambe cittadine in provincia di Arezzo, che è la mia città natale.

Ritornando con la memoria ad Arezzo, mi ricordo che negli anni settanta/ottanta in cui cantavo come corista nel coro polifonico “F. Coradini” diretto dal M° Fosco Corti, c’erano alcuni coristi che scrivevano i numeri sotto le note della propria parte cantando in do mobile e utilizzando il metodo Ward imparato proprio a Serravalle e a Badia Prataglia. Allora mi sembrava curioso questo modo di leggere le note ma restavo stupita dall’efficacia che produceva nell’intonazione degli intervalli rispetto al nostro sistema tradizionale di lettura della musica.

Con questa nota un po’ autobiografica chiudo la mia recensione con l’invito a leggere il volume scritto da Dario de Cicco per conoscere l’opera di una didatta dal pensiero così innovativo e moderno che ancora oggi ha tanto da insegnare a tutti coloro che operano nella pratica formativa corale e musicale più in generale.

Dario De Cicco “Il metodo Ward per l’educazione musicale. Genesi, lineamenti ed esperienze. Ed Lim, Lucca 2016 (pgg 369) 

Dario De Cicco

É laureato in musicologia e diplomato in pianoforte, didattica della musica, musica corale e direzione di coro. Si è specializzato negli ambiti pedagogici e storico-musicali presso i principali centri formativi italiani ed europei. Pubblica regolarmente studi e ricerche su vari periodici e svolge attività di formativa rivolta al personale docente dei vari ordini di scuola. Collabora con varie Istituzioni scolastiche e associazioni musicali svolgendo attività di progettazione, coordinamento e sperimentazione didattica sull’educazione al suono e alla musica. È vice-presidente nazionale della Società Italiana per l’Educazione Musicale. Attualmente è docente di Pedagogia musicale presso il Conservatorio Statale di Musica “G. F. Ghedini” di Cuneo.