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Esplorazione e scoperta nell’improvvisazione sonora

di Rosa Alba Gambino

31 Luglio 2019

Alcuni anni fa, durante un seminario, François Delalande raccontava un “esperimento” pedagogico svolto presso una scuola dell’infanzia. Protagonista era una bambina di quattro anni. Col pretesto della mamma in ritardo, fu invitata ad aspettarla in un’aula, dove fu lasciata da sola e osservata di nascosto. Al centro di quella stanza era stato posizionato un microfono, e agli angoli due amplificatori. La bambina, attratta dall’oggetto, vi si avvicinò e vi accostò la bocca, cominciando ad emettere crepitii, suoni, schiocchi di lingua, con la sorprendente soddisfazione di sentirli “ritornare” dalle casse. Cosa che la spinse a produrne altri, uguali e variati. Poco a poco “selezionò” alcune altezze, ripetendole e cominciando a glissare dal suono più basso a quello più alto che aveva sperimentato e a dare espressione ai suoni che produceva. La sua improvvisazione prendeva forma.

Il significato del binomio esplorazione-scoperta dal punto di vista pedagogico riveste una grandissima importanza, poiché si configura come un atto complesso nel quale il soggetto si situa in una posizione attiva verso un oggetto concreto o astratto in grado di incuriosirlo. Il primo approccio è dato dal contatto sensoriale (visivo, tattile, uditivo): nel caso raccontato questo è innescato da un “dispositivo”, come lo chiama Delalande, un mezzo concreto con il quale il soggetto ha poca confidenza e che catalizza l’attenzione soprattutto per il suo meccanismo di funzionamento, quello di riprodurre il suono distanziato dal soggetto stesso che lo produce. Il fulcro della questione è il fatto che già il primo contatto attiva un comportamento esplorativo spontaneo che solo inizialmente è casuale, fatto di gesti di prova, per vedere “che effetto fa”. I gesti successivi rappresentano una graduale selezione degli effetti sonori graditi con una reiterazione dei corrispondenti gesti/suono e l’abbandono di quelli meno interessanti o soddisfacenti. Cominciano a costituirsi piccole cellule, nuclei di suoni, piccole configurazioni ritmiche ed altri criteri di raggruppamento o di presentazione del materiale sonoro.

Esplorazione e scoperta vanno dunque già di pari passo nel processo di apprendimento spontaneo; la sfida didattico-pedagogica è quella di mantenere viva questa condotta anche nell’apprendimento scolastico. (Precisiamo che il concetto di condotta va oltre quello di comportamento, essendo essa finalizzata all’ottenimento di un risultato preventivato perché già sperimentato e scoperto). Infatti è tipico del bambino, in età della scolarizzazione, abbandonare progressivamente i processi spontanei di ricerca per lasciare spazio all’imitazione dell’adulto, in special modo dell’insegnante, poiché questo comportamento solitamente si traduce in una lode per “aver fatto bene”, ovvero per aver “riprodotto bene” l’esempio. E con l’avanzare degli anni aumenta l’attenzione verso “ciò che si deve fare e come si deve fare”, cercando di rimanere aderenti alla “regola imparata” e riceverne in cambio una valutazione positiva. Il risultato è positivo solo dal punto di vista del comportamento scolastico tradizionalmente inteso, mentre invece, dal punto di vista della crescita personale, può tradursi nell’inizio di un processo di inaridimento, nel quale la persona smette di incentivare la propria iniziativa e soffoca progressivamente la propria curiosità, aspettando che in qualche modo venga soddisfatta dall’azione didattica del docente.

Per questa ragione la normativa vigente sull’Istruzione scolastica insiste sulla necessità di presenza costante di strategie operative che continuino a promuovere la curiosità verso il sonoro in tutte le sue forme e la creatività musicale. Una didattica di tipo tradizionale (e un atteggiamento particolarmente severo) ormai abbandonata era essenzialmente fondata sul nozionismo e privava gli alunni di ogni possibilità di iniziativa e di approccio alla conoscenza rispettoso della propria personalità e della propria individualità (Carlo Delfrati parla in proposito di paradigma statico). Le moderne metodologie per l’insegnamento partono dal presupposto fondamentale di biasimare qualunque scelta rischi di spegnere le propensioni della persona e incentivare invece il rispetto delle differenze e della creatività individuale, muovendosi elasticamente fra la trasmissione del sapere e le tecniche che rendano attivi e partecipi gli alunni, mantenendo una qualità della relazione educativa positiva e proficua (il paradigma dinamico di Delfrati).

Tornando all’esplorazione, quella della voce rappresenta uno dei nodi focali: le Indicazioni Nazionali del 2012 suggeriscono di sperimentare le possibilità dell’espressione con la voce, anche attraverso stimoli di tipo emotivo, per esempio come viene fatto anche nell’ambito della ricerca vocale nella recitazione; o esplorare fra i timbri, le altezze, la dinamica e le durate cercando anche di idearne modalità di scrittura analogica (come pure suggerito da Maurizio Della Casa). J. Sloboda, citando le ricerche di Moog e l’evoluzione del gusto per il sonoro nel bambino, individua già nelle “lallazioni cantate” dei bambini in età prescolare la tendenza naturale ad accompagnare il proprio pensiero emotivo con la voce, miscelando insieme, durante il gioco e in forma di pot-pourris disorganico, una selezione di suoni, effetti, parole che rappresentino il pensiero emotivo del momento, quello legato appunto alla sua finzione nel gioco stesso. Si presenta perciò come spontaneo un comportamento di ricerca e collazione del materiale sonoro noto da cui deriva una improvvisazione, quale rappresentazione esteriore di uno stato d’animo del momento. Ora, attraverso una impostazione didattica euristico-guidata, è possibile rilevare in tale attività di produzione la tendenza a strutturare l’elemento sonoro attraverso modalità inizialmente molto semplici (la ripetizione di una cellula sonora), per poi proseguire verso trasposizioni ad altre altezze e variazione di altri parametri: orientando opportunamente questa attitudine si può innescare volutamente il procedimento dell’improvvisazione come modalità di approccio didattico al sonoro.

L’improvvisazione infatti non si presenta come una “anarchica” successione di elementi sonori, ma deriva dalla graduale presa di coscienza delle proprie possibilità espressive, dalla capacità che si acquisisce di “organizzarle” in logiche riconoscibili e di integrare tra loro le componenti percettivo-motorie. Questa comportamento si pone alla base della funzione critico-estetica e si identifica con la condotta su cui si fonda la composizione musicale stessa. Va tuttavia precisato che, nell’uso didattico dell’improvvisazione non vanno imposti a priori criteri selezionati dall’insegnante, né spunti melodici, ritmici o timbrici preconfezionati e comunque legati alle regolarità tipiche del linguaggio musicale occidentale classico, o comunque di riferimento del docente, altrimenti il discente viene privato della spontaneità che sta proprio alla base della funzione pedagogica dell’improvvisazione musicale. Vanno invece predisposte “situazioni d’apprendimento” fertili, ricche di apporti musicali, in grado di arricchire il bagaglio di esperienze e conoscenze dei discenti: infatti è dall’ampiezza di questo che può derivare una capacità di articolare il proprio pensiero musicale.

Il frutto delle improvvisazioni didattiche fornisce il più delle volte spunti interessanti per inserire nel percorso formativo la conoscenza della musica contemporanea, soprattutto quella di autori dei quali il linguaggio rimane spesso ostico, se non spiegato/vissuto attraverso la naturalità dell’espressione sonora e la sua ri-costruzione. Cage, Xenakis, Nono, Berio, per citarne solo alcuni, figurano tra gli autori cui più di frequente si approda di seguito alla sperimentazione didattica dell’esplorazione e dell’improvvisazione; l’elemento sonoro e la sua traduzione grafica nelle loro composizioni mostrano la vicinanza tra i processi spontanei-guidati e talune scelte artistiche tipiche della musica contemporanea. Per questa ragione l’enunciazione di obiettivi e competenze, di cui nel sopracitato documento normativo, raccomanda di accostare ad una impostazione laboratoriale creativa anche la conoscenza di repertori senza limitazioni di generi e stili. La musica contemporanea, come pure molti repertori etnici, specialmente molte musiche extraeuropee, diventano materiale didattico particolarmente significativo nello stimolo del pensiero sonoro e, viceversa, si pongono in modo ideale come possibili “paralleli” del mondo sonoro che il “creatore musicale” non professionista può generare attraverso la pratica della improvvisazione/composizione creativa musicale (cfr. J. Paynter).

Quanto detto non riguarda solo l’ambito della vocalità, naturalmente. La stessa impostazione didattico-pedagogica vale per l’approccio agli strumenti musicali (come ancora suggerito dalla normativa scolastica vigente): a partire dall’esplorazione di oggetti sonori, dello strumentario didattico, degli strumenti musicali classici è fondamentale offrire possibilità di scoprire “come sono fatti” e “come possono produrre sonorità”, soprattutto passando dalle modalità di produzione del suono più istintive e inconsuete. Anche qui si tratta di “creare” la capacità di costruire relazioni gesto/suono spontanee che si traducano in acquisizioni mentali. Il meccanismo di fondo è sempre lo stesso, ma si adatta naturalmente all’età dei partecipanti e ai loro prerequisiti.

Esplorazione e improvvisazione non restano attività individuali, se non nella primissima fase di approccio al suono e allo strumento, ma vengono incanalati in diverse possibilità di relazione sonora: volendo trovare riscontro in due metodologie storiche fondamentali come quelle dalcroziana e orffiana, esse suggeriscono improvvisazioni in forma di proposta/risposta in coppia (anche in pratiche ludiche tradizionali come il katajjaq degli Inuit, per citare un esempio di interesse etnomusicologico, troviamo questa idea di gioco sonoro a due), o per gruppi di pari (vari utilizzi del circle time), o forme responsoriali tra un partecipante (o l’insegnante stesso) e il resto del gruppo. La funzione va ben al di là di obiettivi puramente estetici, infatti la produzione del dialogo sonoro procede verso la costruzione di un pensiero sonoro condiviso, perseguendo nel contempo finalità socio-affettive-relazionali di importanza fondamentale. Agli occhi di partecipanti giovanissimi, lo scopo di molte attività didattico-pedagogiche musicali può sembrare quello di costruire una performance gratificante, ma in realtà all’interno del processo “vivono” anche i principi di inclusione e integrazione di ciascun individuo, per perseguire i quali l’elemento sonoro diventa il mezzo di comunicazione più significativo, perché immediato, pre-verbale, canale diretto dell’empatia fra individui. Il gioco musicale opportunamente strutturato riesce ad essere responsabile di una relazione profonda e significativa all’interno del laboratorio musicale così inteso. Ancor più la musicoterapia si fonda sulla funzione comunicativa asemantica della musica, sulla forza che essa deriva dal suo prescindere dal codice verbale; questo aspetto ci fa accomunare buona parte delle sue finalità con quelle socio-affettive perseguite dalla pedagogia musicale odierna. Non a caso va sottolineato questo aspetto, dal momento che la realtà dell’Istruzione si presenta oggi in modo molto complesso e investe il didatta di una grande responsabilità sotto il profilo formativo globale dell’individuo: le funzioni cognitivo-culturale, linguistico-comunicativa, identitaria, interculturale e critico-estetica sono riferimenti essenziali della pedagogia musicale, attraverso cui i discenti hanno diritto di acquisire capacità di interpretazione della realtà, di sviluppo del pensiero duttile e creativo, di concepire il senso della relazione interpersonale, di proiettarsi verso la condivisione dei saperi e dei valori.

Rosa Alba Gambino

Ha una formazione didattica, pianistica e vocale e al proprio attivo un’attività solistica e cameristica. Specializzatasi nel repertorio contemporaneo, eseguendo anche brani di Donatoni, Pennisi, Cinque, Mannino, Ferrante in prima assoluta e a lei dedicati, ha inciso su CD Pilz, Pongo, City Record e pubblicato per Carrara, Simeoli, Neopoiesis, Diaphonia saggi di didattica e pedagogia della musica (tra questi Teorie e metodi per la didattica musicale, Cantando e leggendo, Itinerari didattici nel folklore musicale, In viaggio con la musica, Principi di Pedagogia Musicale e Pedagogia dell’Integrazione) e musiche pianistiche e vocali per l’infanzia.

Tra gli articoli: Backstage dell’atto creativo ed. Il Palindromo, Corporeità e Gioco in Pedagogia Musicale e in Musicoterapia, ed. Circolo Virtuoso, Musica e condizionamento emotivo, ed. Franco Angeli.

Dal 2002 incentra la propria ricerca sul condizionamento emotivo in psicologia musicale e sugli approcci metodologici in pedagogia musicale e in musicoterapia. Dal 2009 coordina il “Laboratorio della Lezione-Concerto”, con il quale ha anche partecipato all’incisione del CD Over the Horizon con musiche di Andrea Ferrante. Ha ideato e condotto la trasmissione radiofonica Stratificazioni. Musica e Arti nel nostro tempo su Radio Abracadabra sul web. È docente di Pedagogia Musicale per Didattica, responsabile del Coordinamento degli Ensemble Musicali per il progetto La musica dai giovani ai giovani, coordinatrice del “Progetto Musica nelle Scuole” e referente per l’orientamento agli studi musicali nella scuola pubblica presso il Conservatorio di Musica di Palermo.

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