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La motivazione come motore di apprendimento per lo strumento

di  Sara Bacchini

30 Settembre 2018

Negli ormai numerosi anni di insegnamento sparsi per le scuole (medie statali, medie ad indirizzo musicale, scuole di musica comunali e private) l’aspetto che maggiormente mi ha colpito e che ha attirato la mia attenzione di docente e ricercatrice è stato, senza alcun dubbio, la difficoltà rilevata in molti alunni e alunne di proseguire con una certa continuità il percorso scolastico legato all’apprendimento dello strumento.

Alunni dotati anche di talento e con un metodo di studio discretamente consolidato, posti di fronte a difficoltà progressive di repertorio spesso alzano bandiera bianca e abbandonano lo studio continuativo del proprio strumento quando affrontano in particolare il momento della scelta del successivo percorso di studi.

Mi riferisco principalmente al corso di pianoforte, strumento tanto amato e diffuso quanto altrettanto spesso abbandonato, ma certo queste osservazioni possono venire estese a tutti gli altri strumenti e soprattutto non sono generalizzabili: anche io ho avuto e ho tutt’ora nelle classi alunni appassionati, diligenti e pronti ad affrontare le “fatiche” che lo studio dello strumento richiede.

La realtà dei fatti, tuttavia, indica strade ben più tortuose: moltissimi bambini si iscrivono ai corsi di musica e/o di propedeutica; tanti continuano a studiare sia privatamente sia in strutture pubbliche nel corso degli anni, magari iscrivendosi alle scuole medie ad indirizzo musicale; qualcuno continua nei licei musicali, e qualcun’altro continua il percorso professionale iscrivendosi nei conservatori.

Il calo quantitativo, fisiologico e non, dei ragazzi e delle ragazze che proseguono il percorso di studi strumentale è comunque innegabile.

Le ragioni alla base di questo fenomeno sono diverse e di varia origine e non è possibile ascriverle tutte ad una stessa causalità.

Le variabili che intervengono nelle scelte personali individuali sono tante, a cominciare dalle sfide poste in essere dall’adolescenza e dal percorso di crescita proprio di ciascuno studente. Interessi, amicizie, amori, cambiamenti di carattere, consapevolezza della propria personalità, scelte di vita scolastica e non, sono solo alcune delle motivazioni che influenzano il futuro di chi, tra le tante possibilità e attività, sceglie anche di intraprendere lo studio di uno strumento.

Quotidianamente, come docenti ed educatori, ci troviamo ad affrontare questo mosaico di tessere che compongono ognuno dei nostri alunni ogni volta che entriamo in classe e proponiamo repertori, programmi, attività didattiche.

Il discorso fin qui fatto vale in particolare per lo studio della musica cosiddetta “classica”, non per tutti i generi musicali.

Jazz, rock e popular music presentano un appeal diverso, più accattivante e in un certo senso più “spendibile” nelle diverse fasi del percorso di crescita individuale. Sicuramente meno elitario e di nicchia di quello classico.

 

La motivazione come motore di apprendimento

In un contesto come quello precedentemente descritto, la motivazione gioca un ruolo importantissimo nel far scegliere agli adolescenti se continuare o meno il proprio percorso di studi musicali.

Pintrich e Schunk (1996) individuano quattro componenti per analizzare e spiegare come mai alcuni individui si interessano allo svolgimento di un’attività al punto tale da considerarla molto importante per la propria crescita personale e per il proprio futuro (expecancy-value theory1).

Secondo questa teoria, tali componenti sono: a) l’importanza attribuita dall’individuo al raggiungimento di un determinato scopo, b) la motivazione intrinseca, c) la motivazione estrinseca e d) il costo percepito per ottenere tale risultato.

Le ricerche di Eccles e Wigfield (1995; 1998) supportano questa tesi, sostenendo l’importanza dei valori e delle credenze individuali nel predire le scelte future durante gli anni dell’adolescenza, come ad esempio il grado di importanza e di interesse che una certa attività riveste per l’individuo.

Tali aspettative e valori influenzano e modellano, per Mc Pherson e McCormick (1999, 2000), anche il successivo sviluppo degli adolescenti.

Dai loro studi emerge che gli studenti di maggior successo sono quelli che esprimono l’intenzione di voler suonare per tutta la vita e quindi si applicano allo studio con un alto livello di partecipazione. Non solo. Emerge anche che tali studenti sono dotati di una elevata auto-considerazione, grazie alla quale producono performances migliori rispetto ai compagni con le stesse capacità ma aspettative inferiori.

Pintrich e Schunk (1996), McPherson e McCormick (1999, 2000), Deci e Ryan (2000) e Green (2008) hanno analizzato la relazione tra l’informal learning e le motivazioni che spingono gli studenti a continuare a suonare e studiare uno strumento. In particolare, l’informal learning è il metodo di studio considerato più motivante rispetto ai sistemi di apprendimento tradizionali.

Green (2002, 2008) ipotizza che le pratiche di apprendimento informale possono contribuire a incrementare la motivazione e la varietà di abilità musicali attraverso percorsi di apprendimento più stimolanti e creativi, oltre che maggiormente inclusivi per le abilità di tutti gli alunni. Tali metodi oggi, purtroppo, vengono ancora ignorati o scarsamente impiegati sia in pedagogia sia nella definizione del curricolo scolastico.

Un approccio, questo, condiviso anche da Mornell (2010) che, confrontando le pratiche di studio informale e quelle di studio intenzionale di stampo tradizionale, suggerisce e propone un modello convergente dei due percorsi, considerati parti differenti di uno stesso approccio olistico al lavoro del musicista.

I principi fondamentali che caratterizzano l’informal learning 2 sono:

  • la scelta autonoma dei brani da suonare;

  • la prevalenza dellapprendimento ad orecchio;

  • l’apprendimento in forma auto-diretta (self-directed learning), ma anche tra pari (peer-directed learning) e in gruppo (group learning);

  • le abilità e competenze assimilate in modo olistico, idiosincratico e spontaneo;

  • la profonda compenetrazione tra le abilità di ascolto, esecuzione, improvvisazione e composizione durante lintero processo di apprendimento, con particolare coinvolgimento della creatività individuale.

Nonostante molti insegnanti utilizzino durante le proprie lezioni una grande varietà di approcci, l’apprendimento ad orecchio da cd o altro supporto audio è raramente contemplato e le attività proposte agli studenti assai raramente prevedono la presenza di tali aspetti.

Da queste mie personalissime osservazioni sono nati due progetti di ricerca didattica che ho attuato nelle scuole medie ad indirizzo musicale: una pratica di informal learning incentrata prevalentemente sull’apprendimento ad orecchio, e un laboratorio sull’insegnamento dell’espressività musicale.

 

L’apprendimento ad orecchio: creatività, libertà e motivazione

La lettura del libro di Lucy Green (2002) è stata il punto di partenza per proporre un’attività di informal learning agli studenti di pianoforte di una terza classe di scuola media ad indirizzo musicale, nella provincia di Bologna.

Tra le pratiche che maggiormente incentivano la motivazione ad apprendere lo strumento, sono annoverate senza ombra di dubbio l’Informal Learning e la didattica laboratoriale.

In particolare, la Green ha riscontato come tra le band giovanili pop/rock/jazz gli stimoli più significativi per l’apprendimento di un brano risiedessero nel suonare a orecchio, senza preoccuparsi di dover rispettare le consegne implicate da uno spartito (notazione, diteggiatura, articolazione, ecc.), e nella possibilità di scegliere autonomamente quali musiche praticare.

Ho quindi pensato di sperimentare questo particolare tipo apprendimento creativo, libero da spartiti e regole esecutive scritte, nello studio di un brano di musica classica per dimostrare, in primis agli studenti, come il suonare ad orecchio potesse rappresentare un’attività utile e divertente da utilizzare anche per lo studio del repertorio classico, oltre a rappresentare un efficace metodo di lavoro per superare le difficoltà legate allo studio dei brani tramite la lettura della partitura.

La vera e propria fase di apprendimento informale ha previsto quattro lezioni collettive di circa 90 minuti ognuna, durante le quali sono state proposte agli studenti alcune attività che prevedevano l’apprendimento ad orecchio, l’improvvisazione e la ri-composizione delle melodie musicali di due brani, diversi tra loro per genere e stile: un brano pop/rock (primi due incontri) e un brano classico (ultimi due incontri), la Danza Ungherese n. 5 di J. Brahms, scelto dagli alunni tra quelli proposti e ascoltati nella versione orchestrale3.

In entrambi i casi è stato necessario effettuare un lavoro di esecuzione e registrazione al pianoforte delle singole tracce melodiche che componevano i singoli brani, frammentando le melodie e i riff ritmici (quattro voci, e semifrasi di quattro battute l’una), eventualmente trasportando o arrangiando le musiche nella tonalità che meglio si adattava alle esigenze didattiche della classe.

Partire dal brano pop/rock è stato utile per introdurre le attività successive, dal momento che presentava una struttura tecnicamente e melodicamente meno complessa del brano classico, oltre che più accattivante e quindi facilmente gestibile dagli studenti nella novità della situazione.

In seguito, o a diversi livelli di praticabilità creativa, si può decidere di partire direttamente dal brano classico, ma è comunque importante, all’inizio, incominciare l’attività in modo graduale.

Le modalità di lavoro che sto per descrivere sono da intendersi applicabili ad entrambi i brani, con adattamenti che ovviamente hanno riguardato la relativa strumentazione.

Inizialmente agli alunni è stato chiesto di eseguire la scala della tonalità di riferimento del brano, per renderli consapevoli della delimitata riserva di suoni al cui interno sarebbe stato possibile individuare le note della melodia del brano.

Successivamente è stato proposto l’ascolto integrale della traccia audio del brano pop/rock e gli alunni sono stati invitati a suonare i riff ritmici presenti (cominciando dal più semplice e arrivando infine al più complesso), utilizzando la body percussion e alcune percussioni dello strumentario Orff (legnetti, tamburello e triangolo) fatte circolare fra gli allievi. Divisi in coppie, una per tastiera, gli alunni hanno ascoltato gradualmente le diverse tracce della linea melodica e provato, per tentativi ed errori, ad individuare le note che ne componevano la melodia, eventualmente aiutando il compagno in difficoltà, e suonando sia seguendo la traccia sia in modo autonomo.

Per consolidare quanto appreso, ciascuno studente ha successivamente suonato la linea melodica individuata, mentre gli altri compagni autoverificavano la propria comprensione delle note confrontando il proprio riff con quello del compagno.

Alla fine della lezione tutti gli alunni hanno suonato le melodie, una per volta, attraverso il gioco della “Musica Continua”: uno studente inizia a suonare la melodia, poi tutti gli altri si aggiungono, entrando a piacere uno per volta, ma seguendo sempre ritmo e musica. Allo stesso modo, gli studenti hanno potuto scegliere quando terminare la propria esecuzione fermandosi, sempre uno per volta, fino a quando non restava che un esecutore soltanto a terminare la musica.

In seguito, il brano è stato ricomposto ed eseguito collettivamente sia nella sua versione originale sia in una versione improvvisata, affidando agli studenti alcuni ruoli, liberamente scelti e non indicati loro dall’insegnante: tre percussionisti, tre esecutori della melodia e un direttore.

Per lo svolgimento della fase improvvisativa sono state suggerite agli alunni alcune tecniche di improvvisazione e rielaborazione musicale:

  • suonare la stessa melodia ma variandone il ritmo (per aumentazione o diminuzione),

  • suonare melodie simili rispettando gli intervalli originali ma modificandone le note,

  • inventare unintroduzione e una conclusione del brano utilizzando frammenti ritmici e/o melodici delle melodie ascoltate e precedentemente apprese ad orecchio.

Per incentivare la creatività degli studenti ed aiutarli nella realizzazione musicale, in questa parte improvvisativa consiglio sempre lasciare liberi gli alunni di sperimentare, individualmente e a coppie, le possibili idee musicali da realizzare in fase di esecuzione. In caso di difficoltà, l’insegnante può sempre intervenire per esemplificare le diverse possibilità esecutive (modeling).

L’esecuzione collettiva alla fine del percorso di apprendimento di ogni brano, sia nella versione originale sia in quella improvvisata, è risultata un’attività molto motivante per gli studenti e soprattutto ha richiesto una messa in gioco individuale che oltre ad aver consolidato le abilità e le competenze possedute, ha contribuito a migliorare il clima emotivo e di condivisione all’interno della classe.

A conclusione dei quattro incontri, l’aver sperimentato alcune pratiche di apprendimento informale ha evidenziato come, nonostante la maggior difficoltà esecutiva, la Danza Ungherese di J. Brahms sia risultata la musica più gradita e abbia emotivamente coinvolto tutti gli alunni, spingendoli ad affrontare e superare individualmente le difficoltà incontrate, fino al punto che in molti, tra i meno motivati, avrebbero voluto proseguire il percorso e continuare ad apprendere tutto il brano così come avevano fatto per le prime battute.

Gli studenti hanno anche valutato come piacevoli e utili le pratiche di studio più creative, che hanno permesso loro di migliorare le proprie capacità strumentali, e sono state considerate attività utili soprattutto per superare difficoltà legate allo studio delle musiche tramite partitura e quelle legate alla fase desecuzione in pubblico, ma sono state anche apprezzate per le maggiori potenzialità di apprendere divertendosi e rapportarsi allo studio del pianoforte.

 

Conclusioni

L’ approccio laboratoriale qui, in parte descritto, ha dimostrato l’utilità e l’efficacia del porre l’accento sulla motivazione come motore dell’apprendimento, intendendo come motivazione l’insieme di esperienze soggettive di origine intrinseca o estrinseca (quali gli obiettivi, le aspettative, i processi emotivi, i valori, gli interessi personali, le attribuzioni formulate nelle situazioni di successo e insuccesso, le aspettative), che conducono un individuo a imparare.

Caratteristica del concetto di motivazione è l’esistenza di uno scopo da raggiungere: sono motivato ad imparare se qualcosa mi piace, se riesco a farla e a portarla a termine con successo.

La teoria dell’autodeterminazione, in particolare, pone l’accento sul bisogno dell’individuo di sentirsi efficace nelle interazioni con l’ambiente sociale ed esprimere le proprie capacità (bisogno di competenza), che lo porta ad essere motivato a conservare ed accrescere le proprie abilità cercando anche stimoli per svilupparle. Impegnandosi in attività che gli piacciono, l’individuo da un lato si sente in grado di eseguirla, dall’altro se l’attività riserva qualche difficoltà si sente stimolato alla sfida.

In questa direzione, di stimolo e di sfida, ha operato l’ attività proposta, che vuole essere soprattutto un suggerimento operativo nella didattica quotidiana. Stimoli per alunni e insegnanti a lavorare insieme senza perdere entusiasmo e motivazione, sperimentando nuove strategie nell’ottica di un apprendimento creativo e olistico, capace di mescolare insieme stili e generi diversi, pratiche del jazz e del pop con pratiche più tradizionali, avvicinandosi in tal modo all’esperienza e al linguaggio musicale parlato dalle nuove generazioni.

  1.  Letteralmente “teoria sul valore delle aspettative”.
  2. Green L., 2008.

  3. Il brano del repertorio classico è stato scelto dagli studenti tra alcuni proposti: Eine Kleine Nachtmusik K 525, di W. A. Mozart; Hungarian Dance n. 5 di J. Brahms; e la Suite dallo Schiaccianoci, di P.I. Čajkovskij (in tutti i casi si è lavorato sulle prime otto battute del tema iniziale).

Sara Bacchini

Pianista, insegnante di pianoforte al Centro di Ricerca e Formazione Musicale “inCanto” e alla Scuola Comunale di Musica “A. Banchieri” (Bologna), insegnante di Musica nella Scuola Secondaria.

Sara Bacchini ha conseguito il diploma con titolo di Master all’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, una laurea in Sociologia dell’Arte e della Letteratura all’Università di Bologna. Ha frequentato il Corso di Metodologia della Ricerca per l’Educazione Musicale organizzato dalla SIEM in collaborazione con l’Università e l’Accademia Filarmonica di Bologna.

All’attività concertistica affianca quella didattica e di ricerca nel campo dell’Educazione Musicale, e i suoi campi di interesse si rivolgono prevalentemente agli studi sulla music performance, motivazione, pedagogia strumentale, sociologia dell’educazione musicale.

In questo ambito ha partecipato alla 30th ISME World Conference on Music Education che si è tenuta a Salonicco nel luglio 2012, e all’International Conference “Musicology applied to the concert: performance studies at work” organizzata dall’Università Internazionale dell’Andalusia a Baeza.

Scrive e pubblica regolarmente articoli di carattere musicologico sulla rivista “M.I.”, bimestrale di informazione musicale curato dalla Fondazione Musica Insieme di Bologna.

E’ Consigliere Nazionale della Società Italiana per l’Educazione Musicale (SIEM), Presidente della Sezione Territoriale di Bologna.

 

 

 

Bibliografia

Informal Learning

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