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Neuroscienze cognitive della musica.

Il cervello musicale tra arte e scienza

Recensione di Alessandra Seggi

31 Gennaio 2020

Leggere questo libro è un po’ come avventurarsi in un viaggio dentro l’universo costituito dai diversi meccanismi cerebrali che caratterizzano l’esperienza sonora nella sua complessità.

L’autrice nei tredici capitoli analizza e argomenta i tanti aspetti del far musica attraverso l’elaborazione che ne fa il nostro cervello.

Il saggio è molto affascinante e mi sento di consigliarne lo studio a chiunque si occupi di musica proprio per l ‘importanza che, nella pratica musicale, ha la conoscenza dei meccanismi neurologici che caratterizzano il fare musica stesso.

In questa recensione ho ridotto al minimo i dati squisitamente tecnici e neurosceintifici rimandando allo studio del libro per una consapevolezza più specifica e dettagliata.

Proprio per la complessità e la grande varietà di dati e ricerche presenti nello scritto, ho pensato di stimolare la curiosità verso il testo proponendo una recensione atipica che permetta al lettore di compiere un percorso random tra le diverse parti del libro.

Proverò ad accennare alcuni temi come in un glossario: ogni lettera sarà l’iniziale di un argomento specifico dove i virgolettati sono tratti direttamente dal testo.

A come Ascolto di musica nel neonato: Gli studi hanno dimostrato che l’ascolto del canto materno ha un effetto tranquillizzante per il neonato: regolarizza il suo respiro e riduce il cortisolo (l’ormone dello stress). La musica in generale diventa un tramite, un “contatto extracorporeo tra genitore e bambino soprattutto nei neonati prematuri che si trovano nell’incubatrice privati delle sensazioni tattili olfattive della mamma”. E’stato dimostrato che l’ascolto di ninna nanne aumenta l’ossigenazione dei piccoli e migliora lo stato fisiologico ed emotivo generale.

B come benessere: Fare musica da adulti o nella terza età può contribuire a contrastare il declino cognitivo, a riabilitare e ad incrementare il benessere generale della persona riducendo le sintomatologie depressive e migliorando la qualità dell’umore. Fare musica e cantare contribuisce favorisce la socializzazione così come il senso di appartenenza ad una comunità migliorando l’autostima e la capacità di esprimersi emotivamente. “L’esercizio musicale migliora la qualità di vita degli anziani a prescindere dalle specifiche capacità cognitive”.

C come Cervello del musicista: Oggi sappiamo che “lo studio precoce e duraturo di uno strumento musicale può produrre cambiamenti macrostrutturali nel volume di determinate strutture del cervello come: il corpo calloso, la corteccia motoria e uditiva e il cervelletto”. L’adattamento cerebrale allo studio musicale segue tre principi che sono:” l’inizio della formazione musicale da piccoli, il tempo dedicato allo studio di pratiche motorie bimanuali complesse e la conseguente modifica delle rappresentazioni delle mappe motorie”.

D come Direzione dello sguardo dei cointerpreti: La direzione degli sguardi e i movimenti oculari sono certamente i mezzi che i musicisti utilizzano per comunicare un’intenzione durante l’atto performativo. “È stato dimostrato che lo spostamento dello sguardo di un’altra persona sposta automaticamente la nostra attenzione verso il punto fissato da quest’ultima”. Ovviamente anche il corpo come la postura contribuiscono ad orientare l’attenzione di chi guarda e tutto questo accade in modo inconsapevole in quanto abituale comportamento di natura sociale. “Questo dato suggerisce l’estrema importanza dei sistemi di rispecchiamento visuomotorio nella coordinazione sociale dell’azione”.

E come “Esecuzione meccanica vs espressiva” : Quale può essere sul piano oggettivo la differenza tra un’esecuzione meccanica e una espressiva?

Certamente la capacità dell’interprete di modulare, in modo imprevedibile e personale, l’esecuzione proponendo micro varianti agogiche, dinamiche, timbriche, ritmiche, ecc che possano dilatare o contrarre lo spazio temporale. Tutto questo ambito d’azione restituisce all’ascoltatore un’unicità tipicamente umana tanto quanto emozionante e piacevolmente sorprendente che si differenzia moltissimo da un’esecuzione prodotta da un sintetizzatore. “I risultati mostrano una maggiore risposta delle aree emotive del cervello (sistema limbico e paralibico) in risposta alle dinamiche espressive della performance musicale umana, insieme ad attivazioni legate al piacere provato (sistema neurale della ricompensa).”

F come Film e musica: La musica può connotare positivamente o negativamente un personaggio di un film in relazione al brano a cui viene collegato. Questa potenzialità è fortemente utilizzata nella pubblicità per associare un prodotto ad uno spot in grado di comunicare inconsapevolmente attraverso la musica una sensazione positiva e quindi incrementando la fiducia nel brand specifico. “Si è potuto osservare come cambiasse il ricordo dei personaggi, rivisti in silenzio, a seconda dei suoni di sottofondo al momento della prima osservazione degli stessi”. L’utilizzo di colonne sonore diverse su uno stesso cortometraggio ha indotto gli spettatori a categorizzare la sequenza d’immagini in generi diversi dal thriller, commedia, horror, ecc.

G come Gesto musicale: Quando si suona uno strumento sono molti i sistemi cerebrali che si attivano: in primo luogo la corteccia motoria e premotoria per la programmazione del gesto, i sistemi di regolazione del feedback uditivo, visivo e propriocettivo oltre ai sistemi attentivi, di memoria e di codifica delle emozioni. Gli studi dimostrano che la pratica musicale modifica i processi di reazione motoria e tutto ciò accade nel tempo e con lo studio passando dal controllo dell’azione volontario ad automatico e viceversa.

H come silenzioso: Ripassare silenziosamente un brano musicale è una pratica che cantanti e strumentisti praticano spesso sia per memorizzare che per preservare la voce da sforzi intensi. Da studi fatti si è indagato sui meccanismi neurali alla base del canto immaginato e del canto reale osservando come il nostro cervello si attiva in modo molto simile nelle due condizioni. I dati emersi confermano che la simulazione mentale dell’esecuzione contribuisce concretamente all’apprendimento motorio similmente alla pratica effettiva anche se, ovviamente in misura meno efficace.

I come Improvvisazione: Lo studio della pratica improvvisativa musicale da parte dei neuroscienziati ha evidenziato che, oltre alle aree dedicate al movimento del suonare inclusa la vista e il tatto, la corteccia frontale inferiore svolge un ruolo primario nella capacità di ideare sequenze originali musicali e anche linguistiche. In generale la capacità di generare idee nuove è in relazione ad una maggiore connettività funzionale tra la corteccia prefrontale inferiore e le altre regioni corticali incluse nei processi immaginativi.

L come lettura a prima vista: L’efficienza della pratica della lettura a prima vista migliora con l’aumentare dell’expertise del musicista “poiché questo è in grado di trasformare in programmi motori un insieme sempre più grande di note, programmandole in modo globale.” Inoltre la pratica accumulata con il proprio strumento unita all’età d’inizio degli studi musicali possono condizionare le capacità di leggere bene a prima vista.

M come memoria: Le diverse memorie sono tutte componenti indispensabili nella pratica musicale a partire dalla memoria ecoica, iconica, procedurale e dichiarativa semantica per recuperare il ricordo di un testo di un brano vocale. Tutti questi diversi tipi di memorie si basano su meccanismi neurali diversi e questo spiega la ragione per cui i malati di Alzheimer mantengono la capacità di suonare uno strumento anche se hanno perduto la capacità di riconoscere come noti brani musicali che conoscevano da tempo(memoria episodica).

N come neuroni: E’ stato dimostrato che nell’uomo esiste un sistema di neuroni specchio riservato ai suoni del linguaggio “(echo mirro system): quando un individuo ascolta stimoli verbali vi sarebbe un’attivazione automatica dei centri motori responsabili dell’emissione dei fonemi presenti nelle parole ascoltate”. Molti studi hanno ormai dimostrato l’esistenza di sistemi multisensoriali che rispondono in termini di codifica simultanea a peculiarità visive e auditive legate all’azione e neuroni audiovisivi che “codificano congiuntamente gli oggetti e il suono da loro prodotto, di importanza fondamentale per l’apprendimento della musica e la regolazione del feedback sensoriale”.

O come orecchio assoluto: L’orecchio assoluto rappresenta la capacità di distinguere con precisione l’altezza esatta di qualsiasi nota senza prendere nessun riferimento esterno sia ascoltando che immaginando di ascoltare un dato suono. Per ragioni di plasticità corticale l’orecchio assoluto può essere acquisito prima dei sette anni d’età esercitandosi sulla capacità di associare la percezione uditiva al nome preciso della nota. Tutto questo ha necessità di una predisposizione genetica a volte fuori dalla normalità come per esempio nelle persone autistiche o negli idiot savant caratterizzati da straordinarie capacità analitiche, di concentrazione focale e forti tratti d’introversione.

P come plasticità: L’esperienza musicale “promuove la neuroplasticità, aumenta la connettività producendo sinaptogenesi”. Come il linguaggio la musica plasma il sistema nervoso per merito anche della sua componente emotiva. Il cervello risponde molto velocemente all’educazione musicale e in particolare “la risposta corticale somatosensoriale è massima quando l’esordio degli studi musicali avviene durante l’infanzia e diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età di esordio, pur essendo sempre maggiore di quella dei non musicisti.”

Q come quadrato: Cosa accade quando il nostro procedere ritmico è quadrato, cioè esatto, a tempo?

Nela percezione del ritmo interno “dal punto di vista neurale, sono coinvolti il talamo, i gangli della base e il cervelletto”. La capacità che abbiamo di sincronizzare dei movimenti sul ritmo che ascoltiamo è data dalla regolarità che ne estraiamo e alla “capacità di andare a tempo e sentire il ritmo contribuirebbero processi di simulazione di movimento periodico che avrebbero luogo nelle aree di pianificazione motoria: essi fornirebbero un segnale neurale che aiuterebbe il sistema uditivo a prevedere l’occorrenza temporale dei battiti imminenti.”

R come ritmo: Quando ascoltiamo o produciamo musica abbiamo tutti la tendenza a muoverci entrando in sincronia con il ritmo magari con il battito del piede o con l’oscillazione della testa e questo perché esiste uno stretto legame tra circuiti uditivi e circuiti motori.

“Il ritmo stimola il movimento agendo non solo sulla corteccia, ma anche sui gangli della base, deputati all’avvio del movimento, traducendosi in un effetto energizzante per l’umore e stimolante il comportamento prosociale”.

S come studio: Lo studio della musica in età adulta è diverso da quello che avviene in età evolutiva sia per ‘inevitabile declino delle abilità cognitive e motorie e per la capacità di essere pronti e reattivi”. Esiste però la possibilità che il cervello avvii processi compensativi per temperare l’invecchiamento cognitivo. La Riserva Cognitiva si caratterizza con” una serie di fattori che hanno dimostrato di contribuire in modo significativo alla riduzione del rischio di soffrire di demenza: il rendimento scolastico, le capacità intellettuali, le interazioni sociali e le attività del tempo libero”. La pratica musicale in particolare, ricopre un ruolo molto importante in questo contesto.

T come tonalità: La musica è in grado di suscitare in chi l’ascolta perturbazioni emotive diverse.

“La capacità di comprendere un tono emotivo di un frammento musicale mostra molte affinità con quella di comprendere il contenuto emotivo delle vocalizzazioni non verbali (pianti, grida, risate, lamenti, gemiti e versi di apprezzamento, sorpresa, richiami, ecc): alcune regioni cerebrali sono specializzate nel loro riconoscimento, differenziandone chiaramente la valenza (positive vs. negative).”Da studi e ricerche compiute in tal senso si ipotizza l’esistenza di un “sistema innato di estrazione di informazioni acustiche spettrali e di categorizzazione emotiva delle stesse.”

U come (immaginazione) uditiva: Ognuno di noi conosce cosa significa avere una musica in testa anche se realmente non l’ascoltiamo…suona dentro di noi e non ci lascia più!

L’immaginazione uditiva involontaria e in assenza di stimolo sensoriale reale si chiama in termini tecnici earworm. Quasi sempre si tratta di un frammento breve in genere ripetitivo “( catchy, sticky, cioè appiccicoso) molto ritmato, spesso accompagnato da un slogan verbale o poche parole, meglio se prive di senso.”

V come voce: Tutti immaginiamo che l’organo deputato al canto sia la laringe ma oggi sappiamo che è il cervello alla base della capacità canora in quanto organo di “controllo dell’esecuzione motoria della voce e della fonazione e di elaborazione del feedback uditivo, apprendimento della capacità di cantare, capacità di percepire i suoni e la musica, comprensione ed espressione del linguaggio “ anche dal punto di vista emotivo. L’eccellenza nel canto include la capacità di controllo della voce di tipo motorio, cognitivo –percettivo ed emotivo oltre la capacità di controllo del feedback, codifica propriocettiva e di attenzione alla sequenza motoria.

Z come zona di confort: Uscire dalla nostra zona di confort musicale vuol dire affrontare le incertezze di un ascolto imprevedibile e privo di aspettative. Ognuno ha il suo quoziente di avventurosità musicale che gli permette di uscire dalla sua zona sicura e, come afferma Levitin una nuova musica è come un’amicizia, ci vuole tempo per apprezzarla e a volte non si può fare nulla per accelerare. Sul piano neuronale si dovrà trovare nuovi punti di riferimento così da invocare un nuovo schema cognitivo. Di conseguenza la ripetizione dell’ascolto e l’aumentare della familiarità consentirà a chiunque di prevedere e quindi di confermare le aspettative generando nell’ascoltatore un senso positivo di gratificazione.

Alessandra Seggi 

 

Neuroscienze cognitive della musica – Il cervello musicale tra arte e scienza – Ed. Zanichelli, 2019 – Bologna (pg 212)

 

ALICE MADO PROVERBIO

È professore associato di Psicobiologia e Psicologia fisiologica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove insegna Neuroscienze cognitive e altri corsi nelle lauree triennali e in quelle magistrali.