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*nuovi occhi*

reimmaginare l’educazione al museo

Recensione di Francesca Romana Motzo

29 Febbraio 2020

Pushing the Boundaries significa superare i confini, ridisegnare gli orizzonti, idealmente significa rompere gli schemi per fare spazio a nuove possibilità.”

Titolo preso in prestito da un progetto di formazione per guide e mediatori, su una mostra di Daniel Hirst del 2017 ospitata a Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia, diviene nel testo di Marco Peri, non solo un Manisfesto chiaro e forte nei suoi intenti, ma un pretesto per coltivare un’attitudine visionaria nel tentativo di ridefinire i confini delle possibilità educative realizzabili all’interno di un museo.

Nonostante il focus dell’analisi svolta nel testo riguardi il museo contemporaneo, le riflessioni sui vari processi didattici messi in campo, risultano facilmente traslabili nei differenti mondi dove l’educazione si esplica e trova la sua casa.

E’ chiara l’immagine dell’eterna danza tra il cosa trasmettere ed il come farlo.

Una danza tribale che ciclicamente porrà il COSA come priorità massima a prescindere dal come verrà porto, per poi rivalutare e difendere ad ogni costo, l’importanza del COME valutando gli strumenti che verranno messi in campo, migliorando la qualità dell’incontro, nutrendo la relazione che nascerà tra chi trasmette e chi riceve, capace di attivare risorse interpersonali ed amplificare le potenzialità di ognuno.

Se la prima ipotesi è chiara tanto quanto possono risultare infiniti i racconti degli sforzi compiuti nei differenti percorsi di apprendimento (di qualsiasi materia si parli), si rimane come fluttuanti, invece, nella riflessione su quanto e cosa venga coinvolto, se si parla del come trasmettere qualsiasi tipo conoscenza. Un fluttuare sicuramente dovuto dal confronto necessario con la cultura e dimensione sociale contemporanea, per qualsiasi periodo storico si faccia riferimento e che in questo momento specifico, è denso di accellerazioni, collisioni e distanze generazionali.

Se ancora oggi si deve parlare di “oltrepassare i confini attuali” per rimodellare e ridefinire un ambito e/o un luogo deputati a tale danza, potrebbe forse voler dire che in ogni tempo ed in ogni luogo ove l’educazione trova il suo senso, questa inquietudine esiste ed è ciò che ci spinge a creare il nuovo.

In ogni percorso formativo che presuppone l’acquisizione di una competenza, l’obiettivo meccanicistico del saper fare condiziona fortemente la costruzione individuale del saper essere.

Sebbene molte parole significative e determinanti si siano spese in merito a questa equazione, la sensazione rimane sempre la supremazia del primo sul secondo; non di meno in esperienze didattiche inserite in qualsiasi contesto ed ambito di competenza, si hanno riscontri evidenti che uno sviluppo armonico dell’individuo, porti necessariamente ad un risultato più completo.

Nel testo, l’autore, ci conduce nella descrizione di esperienze didattiche museali partecipate, dove l’apprendimento condotto all’interno del gruppo risulta nutrito dalla condivisione delle differenti percezioni sensoriali, cosi come dalla sperimentazione di comunicazioni verbali e non-verbali, dalla messa in campo di strumenti relazionali e di ascolto che creano una connessione diretta con la sfera delle emozioni e dei sentimenti.

Parlare di intelligenza emotiva significa espandere lo spettro delle competenze dell’individuo, in modo proporzionale agli strumenti che vengono messi in campo per far si che acquisire conoscenza divenga un’esperienza totalizzante e non solo logico razionale.

Emergono, pagina dopo pagina, gli elementi necessari affinchè questo processo di acquisizione/trasformazione possa realmente concretizzarsi, soprattutto se lo si confronta con l’ambito museale.

Il corpo e le sue declinazioni, risultano fondamentali; strumento principe che contiene sia la nostra sfera razionale che quella sensoriale, (…e molto di più ovviamente) e del quale non possiamo privarci o frammentarci per raggiungere quella totalità di cui sopra, nel tentativo di rendere l’esperienza che si sta vivendo, conoscenza il più possibile completa.

Nel testo viene sviluppata una parte importante legata ai vari modi di esperire il proprio corpo in una tale dinamica; questa importanza viene poi collegata ad un senso ampio dell’utilizzo consapevole dello stesso.

Mi colpisce il fatto che venga collocato in questa lista di ingredienti, il benessere psico fisico dell’individuo durante l’esperienza; ciò presuppone, non solo una forte competenza dell’operatore in materia, ma il fatto che nella riflessione che viene svolta sul come strutturare l’incontro didattico, si cerchi di predisporre tutto il possibile affinchè anche quell’unica sessione rimanga indelebile.

Possiamo dunque affermare che ogni processo di apprendimento non dovrebbe mai non tener conto del corpo, non come strumento da contenere, bensì come potenziale soggettivo e gruppale da utilizzare, affinche il percorso possa risultare inclusivo , coinvolgente e determinante.

Il parallelo col Mondo Musica e la sua declinazione didattica offre molteplici scenari in cui i punti appena evidenziati risultano ugualmente reattivi a stimoli dettati dal desiderio di cambiamento e di maggiore corresponsione con l’individuo, sia esso fruitore che esecutore (musicista, insegnante, educatore).

Da una parte abbiamo un sapere che cresce e si sviluppa creando la sua memoria storica

; dall’altra ci sono tutte quelle persone che desiderano fruire di quel mondo, crescere insieme alla musica, acquisire competenza e perchè no, contribuire allo sviluppo di quella stessa memoria attraverso le proprie azioni e creazioni.

Menti ed animi illustri hanno creato didattiche musicali che sempre di più si sono avvicinate all’individuo, fino a rispondere alle esigenze soggettive, a rispettare i tempi di ognuno, ad evidenziare e sviluppare tutti quegli strumenti utili al raggiungimento dell’obiettivo preposto.

Rimaniamo però ancora troppo legati alle domande tradizionali, forse perchè rimangono un sentiero rassicurante in quanto abbondantemente esperito, che conduce in un modo o nell’altro al fare tecnico.

Da quest’ultimo ci si emancipa attraverso sentieri alternativi che arrivano sempre dopo, ma che, nutrendo tutte quelle sfere individuali che non sono state precedentemente interagite, ci infondono coraggio e desiderio nel voler esplorare territori altri e sperimentare modalità completamente nuove o finalmente libere.

Nello scenario delle differenti didattiche musicali, si percepisce intensa la spinta verso la costruzione di percorsi differenti da quelli tradizionali. Rimangono però le medesime mete: saper leggere e scrivere la musica. Imparare a suonare uno o più strumenti musicali. Conoscere la Storia della Musica.

Mi chiedo allora, se le mete che ci si pone siano oggi ancora valide o se occorra invece, iniziare a porsi altre domande per costruire ex novo mappe rivoluzionarie sui saperi musicali.

Una stimolante da porsi, potrebbe risultare “che insegnante di musica vorrei essere?”, per concedere alla competenza educativa di aprirsi ad ogni più piccola sfumatura didattica e creare una forma che mi corrisponda e che persegua itinerari e mete, di cui rivendicare maternità e paternità e perchè, quelle molteplici qualità che creano l’unicità dell’incontro, possano realmente avverarsi.

Il pushing the boundaries che si attiverebbe in questo caso, sarebbe davvero avanguardista e si confronterebbe con le incessanti pressioni culturali che richiedono costantemente una soddisfazione meccanicistica. Un esempio valido per tutti è quando un genitore chiede “quando mio figlio/a potrà iniziare a studiare uno strumento?” come dire, va bene giocare, ma quando si passa alle cose serie?

Ed allora mi viene da chiedermi, perchè fare musica, che si parli di propedeutica oppure di imparare a suonare uno strumento; ma allo stesso modo posso chiedermi perchè fare danza e forse qui si aprirebbero confronti molto più delicati e contradditori di quelli presenti nel mondo educativo musicale; fino ad arrivare all’esperienza che ci conduce al segno, che apre aimè un ambito che raccoglie tutte le nostre frustrazioni e contraddizioni socio-culturali.

Mi sembra che la riflessione che emerge, cerchi di chiarire o rivoltare la relazione esistente tra Individuo e le Arti, che ci si esprima attraverso di esse o che se ne fruisca unicamente o che ognuna di loro possa intrecciarsi con l’essere umano per divenire ricchezza personale.

Il libro di Marco Peri termina in modo esplicito con delle domande; mi sembra una scelta utile e necessaria se si parla di didattica, poiché la rimessa in questione dovrebbe essere costante e la sperimentazione continua.

I nuovi occhi raggiunti grazie ad un’esperienza o un percorso, devono rimanere tali in ogni momento dell’esistenza ed indipendenti dall’età che si possiede (parliamo di stupore, di immaginario, di creatività).

La reale competenza che si dovrebbe acquisire è il saper essere, una forma che si costruisce con dedicazione e volontà, forti dell’importanza di ogni passo, che in fin dei conti non potrà mai essere disgiunto ne da quello precedente ne da quello successivo.

Quando vedo bimbi piccoli che suonano con tutto il loro corpo (e non solo con una parte funzionale di esso) e li vedo liberi ed unici nel loro gesto sonoro espresso, mi chiedo “cosa accadrebbe se questa qualità e questa forza rimanessero per sempre?”

Francesca Romana Motzo

 

Finito di stampare nel gennaio 2020 da Rotomail Italia SpA – Vignate (MI) pg. 117

Marco Peri

Storico dell’arte, esperto di educazione museale e docente. 

Al centro dei suoi interessi c’è la ricerca dei rapporti tra Arte ed Educazione. Progetta e sviluppa format educativi innovativi per la didattica museale, laboratori per il pubblicoe corsi di aggiornamento per educatori ed insegnanti.

Tra i duoi progetti figurano percorsi immersivi e sensoriali, esperienze museali partecipative, workshop performativi e visite guidate non convenzionali.

Ha collaborato con diversi musei italiani ed internazionali, tra cui il Mart di Rovereto, Palazzo Grassi/Punta della Dogana, Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, National Gallery di Londra e Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

Attualmente è docente nel Master Museum experience Design e nel corso di Media Design presso l’Istituto Europeo di Design.